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SIRIO
BELLUCCI Prendo da Roland Barthes uno splendido pensiero (che,
pur con poche frasi, è una vera e propria narrazione). Barthes
scrive che vi è unetà in cui si insegna ciò
che si sa; ma poi ne viene unaltra in cui si insegna ciò che
non si sa: questo si chiama cercare. Ora è forse letà
di unaltra esperienza: quella di disimparare, di lasciar lavorare
limprevedibile rimaneggiamento che loblio impone alla sedimentazione
delle cognizioni, delle culture, delle credenze che abbiamo attraversato.
Questa esperienza Barthes la chiama sapientia, nella quale non cè
alcun potere, ma un po di sapere, un po di saggezza e quanto
più sapore possibile..
Il tempo (il suo trascorrere con-senso) sicuramente contribuisce a creare
questa condizione, purché raccolga indizi e tracce (domande e memoria)
Il manifesto di questa mostra ci aiuta ad attraversare (proprio come dice
Barthes) il territorio della sapientia di Sirio Bellucci.
La figura in nero, con linea rossa, al centro, è Sirio Bellucci
nella sua sintesi di personaggio; potrebbe essere, per limmediato
svelamento, un autoritratto rovesciato.
La lontananza avvicina loblio. Tra noi e questa figuretta ci sono
le cognizioni e le credenze, dellartista e nostre.
Cosè quella pennellata bianca? E quelle due circonferenze,
tracciate con velocità, con quei punti allinterno? E la traccia
punzecchiata di pennellature nere? Quel territorio è sospensione
o estensione prospettica?
Mentre rimaneggiamo (ancora Barthes) tra i significati, siamo presi da
una fascinazione. Siamo disorientati, non per mancanza di un senso (il
sensum, il percepire è invece totale), bensì perché
il narrare si è fatto complesso. Quella pennellata di bianco è
temibile, ma può ricondurci a delle somiglianze (luce, raggio,
fonte), mentre le due circonferenze sono come delle emulsioni di memoria,
quasi che il quadro, lì, fosse carta fotografica, e avesse tirato
fuori elementi che il nostro occhio non aveva percepito.
Fanno pensare ai rayograph di Man Ray (che Bellucci ha conosciuto).
Sirio Bellucci, col tempo, si è fatto straordinariamente complesso.
Il suo nero disvela, inquadra, sottolinea, piuttosto che offuscare,
celare, nascondere. Scopriamo figure che sono luoghi concreti, ma che
poi diventano figure e luoghi di una narrazione a tratti simbolica, surreale.
Il sapore barthesiano si mescola, in questi casi, a ciò
che Coleridge chiamò la sospensione dellincredulità.
E questo ci aiuta a guardare gli ovali neri come fossero cammei xilografati
con lacqua, a salire su carri a forma di foglie per viaggi possibili;
ci aiuta a trasformare fili derba in monumenti del rifugio, a sostare
sotto alberi cresciuti come miniature giganti, a seguire personaggi stralunati
che abitano nella nostra anima inconsapevole; ci aiuta a mettere dentro
una valigia per nulla capiente anche le montagne.
Sirio Bellucci, col tempo, ha trovato la sua sapientia. Che a noi dà una buona meraviglia.
Massimo
De Nardo |
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